Racconto di Manuela Pomari di Velo Veronese (VR), premiato per il genere r@cconto del Premio Montagnav(v)entura 2014.
Non ho mai ben capito gli sguardi di compassione dei professori al Liceo, quando alla richiesta di che ora partissi la mattina per arrivare a scuola in città alle 8, rispondevo fiera: “L’autobus passa alle sei e venti!”. Sì, perché abitare in montagna è anche questo: sacrificio per studiare, al contrario di chi abita “sotto il campanile”, come si suol dire dalle mie parti. Ma abitare in montagna è anche la felicità dei bambini che sono costretti a starsene a casa da scuola quando fuori nevica troppo. Un ricordo unico affiora alla mia mente, nitido e piacevole come un raggio di sole d’inverno: l’anno della grande nevicata, avrò avuto dodici anni. La notte aveva portato con sé talmente tanta neve, che restammo bloccati a casa per due giorni interi, fino all’arrivo della turbina dalla pianura. I poveri camion spalaneve nemmeno provavano a smuovere quelle montagne fresche e bianche. Furono giorni di baratto tra le famiglie delle contrade, giorni in cui ci si spostava con gli sci per strada. È d’obbligo saper usare gli sci, altrimenti che montanari si è? Un po’ come nei paesi della pianura tutti i bambini giocano a calcio, da noi tutti i bambini fanno parte dello Sci Club del paese. Lo sci da fondo è lo sport che accomuna tutti, volutamente o meno. Se ero pigra infatti ci pensava l’istruttore a rincorrermi con le racchette alzate e allora si che mi facevo veloce!
Quassù è normale correre nei boschi, non è privilegio della domenica in trasferta. Abitare in montagna non è solo aver visto dal vivo una mucca, ma anche averla munta. Non è solo correre nei prati, ma aiutare il papà nel raccogliere il fieno. È temprarsi, perché si cresce senza tutti i servizi sotto casa. È spirito di adattamento. Credo che se non fossi vissuta sui monti avrei un po’ meno di quella forza di carattere che mi distingue. E avrei anche meno fantasia!
Quassù vivono ancora nella mente delle persone le fade e gli orchi, personaggi mitici che si prendevano gioco dei montanari. Crescere con questi racconti è vivere un mondo parallelo fatto di avventure, mostri e fughe, ma anche di mistero e speranza. E da qui nascevano le commedie a teatro e le serate a cantare, a chiamare Santa Lucia nella notte magica dei doni, ad immaginare di essere rapiti da orchi burlevoli e imprigionati nelle caverne delle fade!
Abitare in montagna è aver un’ora di macchina per tornare dalla città e sentirsi rimproverare dai genitori perché si è tornati tardi, quando in realtà si è andati via prima degli altri dalla festa, sapendo l’esodo verso i monti che non perdona! Esodo che si trasforma in magia quando in pianura c’è la nebbia e salendo sui monti si esce a rimirare le stelle.
I paesi sono talmente grandi che ci si conosce tutti, dal figlio della Maria al cugino della Piera. E tutti sanno tutto, una condivisione di informazioni non sempre veritiere, che però mantengono vive le menti delle signore pettegole. Nonostante questo il montanaro è una persona leale, sospettosa, chiusa ma al contempo disponibile, pronto ad aiutare il prossimo qualora gli si presentasse l’occasione, duro apparentemente ma dal cuore grande e generoso. Generosità verso le persone che non conosce che è inversamente proporzionale alla generosità verso il vicino, la cui erba è sempre meno verde. Litigi e bisticci caratterizzano i rapporti interpersonali, che portano a battersi per cinque centimetri di confine che spetta all’uno o all’altro e a soffermarsi su tali piccolezze invece che condividere e aiutarsi a vicenda. Le contese sfiorano il limite del ridicolo, con lanci di mele cotogne e paletti posizionati in modo da ostacolare il passaggio del trattore altrui. Caratteristica comune ai montanari è credersi poveri di ricchezze materiali, quando invece possiedono più beni di un industriale.
A conti fatti, comunque, il montanaro è una persona fermamente convinta della propria identità esclusiva e in un qualche modo speciale, tanto da difendere la propria lingua madre, ovvero il dialetto. Dovrebbero istituire degli uffici con traduttore simultaneo dall’italiano al dialetto, per favorire la comprensione di tanti documenti scritti in apparente aramaico, che i poveri montanari devono compilare e non riescono se non con l’aiuto di un esperto in materia. La parlata del montanaro è tendenzialmente veloce, con picchi di volume a mille decibel intercalati da esclamazioni non sempre felici. L’accento che si mescola nel suo italiano, generato dal continuo parlare la lingua autoctona, porta i cittadini a crederlo straniero nel momento in cui esso si esprime e tenta a fatica di spiegarsi in italiano. Come i montanari percepiscono estraneo chi dalla montagna sale sui monti.
Il vantaggio del vivere in montagna si vede però nell’essere svegli e spigliati, come quella volta che due montanari scesero in città per comprare un Crocifisso. I cittadini, pensando di avere davanti agli occhi due “orsi”, chiesero se lo volessero vivo o morto. I due uomini dopo un breve silenzio esclamarono: ”Per ora datecelo vivo, che ad ucciderlo in caso ci pensiamo noi!” e lasciarono i venditori senza parole.
Il vivere in montagna porta uno spiccato senso pratico nel far ogni genere di cosa, con una manualità insolita, frutto di giochi all’aperto fin da piccoli e di camminate in pendenza con attrezzature quasi mai tecniche. Inizia comunque ad esserci una lieve apertura verso le novità e la modernità, con tutto quello che essa comporta. Se una volta non ci si fidava del turista che in cerca di pace e tranquillità saliva sui monti, oggi esso viene accolto e anzi chiamato a partecipare a camminate e scalate, organizzate dai montanari che finalmente condividono il proprio vivere. Che è un vivere piacevole, ancora governato dalla natura e dai suoi tempi, dal cambiamento delle stagioni, dal freddo dell’inverno e dalla brezza estiva, dai colori dell’autunno e dal verde dei prati primaverili. Governato ancora in qualche modo dalle credenze religiose, che portano a certi aneddoti significativi. Si dice infatti, ad esempio, che alle porte del Paradiso sia appeso un salame. Esso potrebbe esser tagliato dalla prima coppia che durante la vita terrena non abbia mai litigato ed è ancora là, intatto.
Non può esserci frenesia in questo ambiente, non fa parte della legge della montagna avere fretta, esser di corsa. Come recita un detto montano: più in là del fare il possibile ci andò una volta un signore, ma non ritornò mai più. Chi non ha tempo ne paga le conseguenze, e questo la montagna stessa lo insegna. Lo insegna in chi muore per non esser stato prudente nello scalare o nel salire troppo repentinamente i tornanti montani, in chi manipolando le coltivazioni o gli animali per favorire la quantità della produzione, e non la qualità, ne uccide la genuinità. La montagna ha molto da insegnare se la si vuole ascoltare. Avendo cura dei suoi animali, dei suoi fiori, dei suoi boschi, impariamo a rispettare chi ci sta attorno, con quella calma che solo quest’ambiente sa dare.
■ ma, 2014-04-29
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