Racconto di Giacomo Ruaro di Costabissara (VI), premiato per il genere fantasy del Premio Montagnav(v)entura 2014.
Era questione di vita o di morte. Per lui e il suo popolo. Doveva trovarlo.
Da giorni camminava tra i mughi e le crode, la pelle indurita dal vento, i piedi doloranti sulla nuda roccia. Seduto su un masso coperto dai muschi, bevve un sorso dalla borraccia, prese un pezzo di pane e formaggio dalla bisaccia e lo mangiò. Mentre recuperava le forze, ripensò al giorno in cui partì dal suo villaggio.
“Roland, tu sei il più valoroso tra noi, l’unico in grado di superare le avversità di quelle montagne e raggiungerne la cima”.
“Non credo proprio”, rispose Roland con sguardo rassegnato. Il vecchio capo del villaggio si corrucciò, le rughe apparvero più nitide, alterando la sua già avanzata età. La mano callosa si posò sulla forte spalla del guerriero. “Ricordi la profezia dei nostri antenati? Solo un cuore puro può riuscire in questa missione, e tu sei un cuore puro. Se non tentassi questa impresa per la nostra futura regina non ci sarà speranza e il nostro popolo destinato a scomparire”. Roland meditò a lungo quelle parole, poi, vinto dal sonno, chiuse gli occhi e trasse un profondo sospiro.
Si sorprese nello stesso spirito d’animo di quel giorno, solo che ora era lontano da casa e non poteva più tirarsi indietro. Si alzò e chiudendo la bisaccia ripartì per il sentiero. Passate le ore Roland cominciò ad ansimare e sempre più aveva bisogno di aiutarsi con le braccia per progredire. Giunto su una piccola cengia si accasciò supino e socchiuse gli occhi al cielo per proteggersi dagli ultimi raggi. L’oscurità era già entrata nelle valli sottostanti e Roland trovò rifugio in una rientranza della montagna.
Vinto dalla stanchezza chiuse gli occhi e si addormentò. Sognò tutta la notte: incubi contornati da aspre vette e venti implacabili e popolati da creature mostruose, ma anche sogni del villaggio in festa per il suo vittorioso ritorno.
Le prime luci dell’alba accarezzarono le nude pareti e trafissero il viso di Roland come minuscoli aghi di pino, scaldandogli la pelle. Si mise seduto, mangiò e uscì dal fortuito ricovero per riprendere il cammino. Diverse ore passarono e i muscoli, non del tutto ripresisi dalla giornata precedente, iniziarono a cedere.
Un verso grottesco gli giunse alle orecchie. Alzò lo sguardo di scatto. Davanti a lui, fiero e immobile, stava un camoscio dal pelo lucido e i corni levigati. Le esili ma robuste zampe terminavano in zoccoli color ebano, troppo lucidi per essere continuamente graffiati dalle avversità del tempo. Con un ennesimo verso, più roco e costante del precedente, l’animale chiamò a sé Roland, che rispose e si avvicinò. Senza accorgersene si ritrovò sulla groppa irsuta del camoscio, che con passo agile e temerario lo condusse attraverso le crode fino alla base di una vertiginosa parete, davanti alla quale il cuore di Roland parve fermarsi dalla paura.
Il camoscio mugolò qualcosa. Roland capì che per l’animale era impossibile proseguire. Da lì in poi avrebbe dovuto continuare il suo cammino da solo. Con un balzo la creatura scomparve tra i mughi e il silenzio tornò a dominare sui sentieri.
Roland guardò in su, poi si girò verso la valle. Lo colse un profondo desiderio di tornare indietro e dimenticarsi di tutta quella faccenda. Si fece coraggio e appoggiando una mano sulla fredda roccia si issò. Appiglio dopo appiglio, appoggio dopo appoggio si arrampicò fino a metà parete. Le nubi erano minacciose. Non osò guardare giù. Proseguì. Le prime gocce gli bagnarono il viso. Il vento gli deformò i vestiti. All’improvviso una furia si riversò su di lui. Sembrava che la terra si fosse mossa e volesse risucchiarsi in se stessa. Si appressò alla parete per non precipitare, ma il vento lo schiacciava ancor di più, tanto che il petto gli doleva per la pressione contro la roccia. Pensò ai suoi cari, al suo villaggio, al lavoro nei campi, alla musica tra le contrade. Le lacrime gli solcarono il viso. Vento, Pioggia. Vento...freddo...
Radunò le forze e staccò una mano per posarla un po’ più sopra, poi fece lo stesso con l’altra. La pioggia gli martellava il viso. Il vento portava freddo. Le sue dita si ingrossarono perdendo sensibilità. Staccò ancora una mano...poi l’altra...poi un piede... e così, passo passo, la parete divenne orizzontale: era in cima!
Nel mentre in cui si buttò a terra le nubi, forse riconoscendo il coraggio, forse per scherno si dileguarono e lasciarono che il sole disinfettasse l’animo di Roland provato dalla paura. Era in cima e sapeva cosa lo aspettava. L’ultima fatica e ce l’avrebbe fatta: superare il gigante guardiano.
Si guardò attorno: la vista spaziava su un vasto altopiano, costellato da piccoli roccioni. Secondo la leggenda il gigante viveva in un anfratto nascosto, nero e a forma d’aquila. Roland si trascinò per delle ore esplorando ogni altura, fino a che lo vide. Sembrava proprio un’enorme rapace di pietra, altero e maestoso, dallo sguardo accusatorio. Il gigante stava lì, pasciuto e assonnato. Roland arrivò presso il retro del roccione e accostandosi alla parete la percorse fino all’entrata. Nel frattempo il gigante si era addormentato. Lentamente, silenziosamente Roland entrò nella caverna accompagnato da un tenue russare e proseguì avvolto dall’oscurità. Camminò diversi metri, forse anche in discesa, quando intravide un fioco punto luminoso che si allargava man mano Roland vi si avvicinava. Sbucò su un tappeto erboso circolare, che riceveva luce da un’apertura situata diversi metri più in alto. Faticò a riabituare la vista, ma quando aprì gli occhi vide davanti a sé una cosa meravigliosa. L’aveva trovato, finalmente! Era un piccolo arbusto non più alto di un metro, dalle foglioline d’un oro splendente. I rami nodosi disegnavano nell’aria fiabesche immagini e alla base di essi pendevano delle piccole bacche di un rosso vivo, mai visto.
Restò per interminabili secondi ad ammirare la miracolosa pianta che avrebbe curato la principessa quando un suono sordo lo riportò alla realtà. Si girò in preda al panico, ma fortunatamente il gigante si era solo girato dall’altra parte. In fretta raccolse più bacche che poté poi, silenzioso come un gatto, si avviò rapido verso l’uscita. Si pentì di quella fretta: un ramoscello secco abbandonato al suolo e calpestato bastò per risvegliare il gigante, che appena vide Roland ruggì con tonalità che parevano provenire dalle viscere della terra. Alzandosi scosse le pareti e alcune pietre caddero dal soffitto della caverna. Colmo d’ira corse verso il piccolo uomo che, vedendo l’uscita bloccata, non poté fare altro che fuggire dall’apertura della volta di pietra. Con un balzo si appese alla parete e freneticamente si arrampicò, tagliandosi diverse volte le mani. Fu svelto: il gigante non riuscì a prenderlo. Roland tirò un sospiro di sollievo che venne spezzato a metà, perché anche il gigante iniziò ad arrampicarsi. Alcune pietre, vinte dall’enorme peso, si staccarono pochi metri sopra Roland. Alcune schegge caddero sulle mani facendogli perdere la presa. Cadde sulle ciclopiche spalle del gigante. Intanto il buio entrò a intermittenza nella cavità. Le pietre frananti sembravano infatti schiacciare nell’aria ogni minimo fascio di luce. Roland si alzò e corse lungo le spalle del gigante. Prima che la mano callosa lo stritolasse si aggrappò con un balzo alla testa ricoperta di secchi ciuffi di capelli. Spiccò un salto. Si arrampicò. Ancora pochi metri, Roland. Ancora pochi metri...e fu fuori. Rotolando percorse i pendii, fortunatamente lievi, del monte, mentre il gigante posò la sua enorme mano sulla sommità della caverna. Non uscì mai, le sue dita frantumarono la roccia. Scivolò e ricadde dentro, dove venne sepolto da torrenti di roccia. Roland riuscì ad arrivare alla base del monte: accucciandosi si tappò le orecchie per non udire la frana, e chiuse gli occhi per non vederla: quando tutto fu finito, li riaprì e lentamente staccò le mani. Un inquieto silenzio sovrastava la terra e si fuse con l’oscurità: in quella cupa atmosfera Roland si accasciò, e svenne.
Lo risvegliarono gli stridii dei gracchi e una calda luce. Tastò la bisaccia: parte della bacche erano rimaste schiacciate nella fuga, ma la maggior parte era intatta e sufficiente. Lentamente si alzò e percorse la via del ritorno.
Al villaggio ormai non ci speravano più, ma quando un ragazzo vide una figura avvicinarsi urlò e tutti accorsero. Udendo l’esultanza della gente, Roland capì che era tutto finito.
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