Io e Alberto da Ronch ci siamo conosciuti di persona il 28 luglio del 2010, quando abbiamo scalato, assieme a Fabio, il diedro Dall'Oglio. Ecco una nostra foto in cima alla Torre del Lago, dopo aver completato la via:
Il 3 agosto mi arriva da Alberto uno strano SMS: "Sabato avrei in progetto l'apertura di una nuova via di 150 metri sulla Punta del Caldrolon, nelle Pale. Essendo un'apertura non v'è certezza di successo. Casomai ripieghiamo su qualcos'altro lì vicino. Tu ci staresti?"
Io, incuriosito ma ignaro di ciò che mi aspetta, replico con un breve: "OK, ci sentiamo per i dettagli, ciao". Apro la cartina delle Pale di San Martino, e mi ci vuole un po' prima di trovare questa fantomatica cima, nella zona sud-orientale, grossomodo nell'area tra la Cima d'Oltro e il Sass d'Ortiga.
Conosco già il blog di Alberto, e so che si interessa molto a cime e vie al di fuori da quelle più frequentate, ma non per questo prive di interesse. Mi chiedo che tipo di cima sarà questa Punta del Caldrolon, ma non mi curo di fare indagini particolari; mi fido di Alberto e della sua scelta.
Il giorno prima ci sentiamo telefonicamente. Io, forse volutamente, evito di chiedere troppi dettagli ad Alberto. Concordiamo l'ora, e decidiamo di portare con noi oltre a una nutrita scorta di chiodi, una discreta quantità di cordino da abbandono e cinque o sei maglie rapide.
Il 7 agosto ci troviamo ad Agordo quando albeggia il giorno:
Partiamo per la nostra destinazione, un parcheggio alla fine di una stradina che si diparte dalla strada principale poco dopo che abbiamo superato l'abitato di Gosaldo. Da lì parte un sentiero che sale verso Malga Cavallera. Lungo la salita, superiamo un gruppo di escursionisti. Loro vanno alla Croda Granda; quando apprendono che siamo diretti alla Punta del Caldrolon, ci dicono: "Auguri!". Sarà un'espressione casuale, o motivata?
Mentre saliamo verso la malga, a un certo punto Alberto mi indica il nostro obiettivo:
La sua forma mi ricorda quella di un'enorme pigna, con la parte bassa caratterizzata da pareti strapiombanti su tutti i lati. Non capisco come si possa salire su difficoltà abbordabili. Alberto mi spiega che ha intuito una via di salita a partire dallo spigolo sud-est, che dovrebbe permetterci di portarci sulla zona grigia della parete sud, salendo la quale dovremmo raggiungere l'evidente cengia di pini mughi. Dopo una facile rampa dovemmo raggiungere la zona sommitale e arrivare in vetta senza altre difficoltà.
Alberto mi racconta tutto ciò con una tale naturale tranquillità che mi pare mi stia parlando di una cosa del tutto normale, una di quelle tranquille salite di quarto grado che sono abituato a praticare.
Quando, superata buona parte del sentiero che ci separa dalla Forcella d'Oltro, lo vediamo più da vicino, inizia a fare una certa impressione:
E ancor più quando iniziamo a vederlo da una diversa angolazione:
Risalendo prati quasi verticali, raggiungiamo la parete ovest. Ci sovrasta minacciosa la parete strapiombante su cui si sviluppa la via normale, nulla da stupirsi se si tratta di una via di VI grado superiore.
Alberto mi indica il punto di attacco, in corrispondenza del quale pianta un chiodo e attrezza la sosta di partenza:
Non posso fare a meno di notare che quando aggireremo lo spigolo per portarci sulla parete sud ci troveremo in una posizione molto esposta. Infatti la base della parete sud si trova parecchio più in basso rispetto al punto di attacco.
Lasciamo alla base le cose che non ci serviranno, indossiamo gli imbraghi e prendiamo il materiale per la salita. Parte Alberto, che rapidamente aggira lo spigolo, scomparendo alla mia vista. Lo sento procedere abbastanza svelto. Sento battere il martello. Poco dopo aver consumato venti metri di corda, dalla radiolina mi arriva la sua voce che mi dice: "Faccio sosta qua, poi vediamo". Sento di nuovo battere il martello.
Quando tocca a me partire, si fa più intensa la sensazione di essermi impegnato in un'insolita avventura, decisamente diversa dalla solita arrampicata su una via nota e documentata. Intuisco le incognite, sono consapevole che potremmo non arrivare in cima, non ho idea del grado di difficoltà che troveremo, né della qualità della roccia. Da tutte queste considerazioni deriva un'emozione particolare, molto più intensa del solito.
Quando raggiungo Alberto, vedo che ha attrezzato una sosta con due chiodi e un friend. Faccio una foto all'indietro, alla roccia che ho appena percorso obliquando a destra:
Finora un quarto grado, nulla di più. Ma guardando in alto, capisco che non sarà così nel prossimo tiro. La parete sale verticale sopra di noi, e non riesco bene a valutare quanti metri occorrerà salire prima di raggiungere la cengia.
Alberto pare scorgere sul mio viso un certo turbamento, e mi chiede se me la sento di proseguire nell'impresa. Gli rispondo che se lui va avanti, io lo seguo. Quando riparte, già il primo passo si rivela di quinto grado. Ho come l'impressione che questo sarà il grado predominante per tutto il secondo tiro, spero non peggio altrimenti potrei avere grosse difficoltà.
Alberto sale prudentemente, guadagnando trenta centimetri per volta. Dieci metri più avanti, mi dice che nella relazione scriverà che è meglio fare sosta lì, su un comodo pianerottolo, e quindi quella dove mi trovo sarà solamente una sosta provvisoria. Mi pare una buona idea; infatti il posto in cui mi trovo è molto angusto, e poi così facendo allungheremo un po' il primo tiro, accorciando in ugual misura il secondo.
Sotto di me, la corda penzola verticale:
Cade un sasso; inconsciamente mi aspetto, come di consueto, di sentirlo rimbalzare lungo la parete, e invece quello logicamente vola giù liscio fino ai prati molto più sotto, dove si schianta. Provo una forte sensazione di inusuale verticalità.
Alberto continua a salire. Ogni tanto pianta un chiodo; intuisco che non è roccia buona per i friend, ed è avara di clessidre. A un certo punto mi fa: "non preoccuparti se procedo piano, è perché ogni tanto mi fermo a riposare". Dopo un tempo che mi pare eterno, e dopo aver consumato 45 metri di corda, la sua voce dalla radiolina mi annuncia che ha stabilito una solida sosta su pini mughi, su in cengia. Mi viene in mente la sua firma sul forum, che recita: "Mai più pini mughi affrontati con leggerezza", anche se so che l'episodio a cui si riferisce non ha nulla a che fare con la situazione presente.
Ecco, tocca a me, so di essere assicurato e di non correre particolari rischi oggettivi, ma dentro la mia testa non è questo il pensiero dominante. Intanto rimuovo un chiodo che è rimasto un paio di metri a sinistra della sosta provvisoria, e anche uno dei due chiodi della sosta stessa, lasciando l'altro come chiodo di via su quello che sarà il primo tiro:
Poi inizio la salita, che come temevo si rivela ardua, in più di un tratto al limite delle mie scarse capacità arrampicatorie. Per giunta, l'instinto mi ripete che mi trovo su una parete inviolata, e quindi diffido di tutto quello che trovo; batto con le nocchie delle dita ogni potenziale appiglio, per verificare dal suono se si tratta di qualcosa di solido o di mobile. In alcuni casi non serve nemmeno verificare; è evidente che alcune lame o pilastrini sono staccati dal corpo della parete, e non posso certamente utilizzarli per salire. Ciononostante, devo dire che nel complesso la qualità della roccia non è affatto male, considerando che è una via nuova.
Procedo lentamente, e devo fermarmi a riposare un paio di volte. In un paio di occasioni, nell'atto di rimuovere un chiodo di via, posso apprezzare quanto sia scomodo e faticoso farlo con una mano sola, senza far cadere il chiodo, mentre con l'altra mano mi tengo appeso alla parete.
Finalmente, dopo aver superato l'unica clessidra del tiro, vedo Alberto tra i mughi, col suo casco che pende da una parte, apparentemente tranquillo, come uno che si trova nel suo elemento:
Mi incoraggia: "OK, il peggio è fatto, adesso spiana". E infatti, lo raggiungo senza ulteriori difficoltà, anche se mi sento piuttosto provato.
Fatte le manovre di sosta, Alberto parte senza indugio per il terzo tiro:
Mentre risale le rocce che portano alla forcellina in alto a sinistra, dice: "Mhhh, questo qui è un passaggio un po' tecnico". E' gentile a usare questi eufemismi, ma capisco benissimo che anche questo tiro non sarà banale. Dopo un po' mi arriva la sua voce che annuncia una solida sosta su clessidra.
Parto; devo prima superare i folti pini mughi; quando ne esco, sono tutto profumato di resina, e ho qualche graffio in più qua e là. I grossi massi situati prima della forcella formano con la parete occasionali passaggi in camino, che supero senza particolare difficoltà; sono solo un po' sul chi vive per il timore che quei massi possano non essere del tutto stabili. Il mio timore si rivela infondato; raggiungo la forcellina, la supero, ri-passando così sul lato ovest, e vedo Alberto appeso alla sosta, che raggiungo poco dopo:
Il quarto tiro si rivela molto più semplice, su ottima roccia e difficoltà contenute. Si svolge su un canale parallelo a quello della via normale, solo un po' più a destra. Alberto procede spedito, mentre lo tengo aggiornato sulla lunghezza di corda che gli rimane; quando sta per finire, fa sosta su un bello spuntone.
Quando tocca a me, mi godo quel tiro rilassante e lo raggiungo velocemente:
Sappiamo che dovrebbe mancare poco alla vetta, capiamo che ormai è fatta. Parto e raggiungo velocemente lo spuntone dove si trova il cordino per la sosta finale. Si tratta di non più di 20 metri:
Annuncio ad Alberto che vedo pochi metri più avanti la vetta. L'emozione si fa di nuovo intensa, siamo a un passo dal successo! Alberto mi raggiunge, ci sleghiamo e saliamo insieme in pochi facili passi fino alla cima, e ci stringiamo la mano con entusiastico vigore, scambiandoci i complimenti. La foto di vetta è d'obbligo, per cui eseguo un autoscatto:
Alberto mi racconta che questa cima è stata violata finora da poche persone. E' un fatto che mi colpisce, e mi permette di inquadrare e comprendere un po' meglio quello che abbiamo fatto. Soprattutto non posso fare a meno di ammirare l'intuito, la determinazione e il coraggio di questo ragazzo che ha su per giù la metà dei miei anni. Ha indovinato la migliore linea di salita, l'ha tirata praticamente tutta da primo di cordata, e ha coronato il suo incredibile sogno!
Prendiamo la bottiglia che contiene i biglietti lasciati dai nostri predecessori, in effetti molto pochi, e in stato di conservazione non ottimale. Abbiamo dei fogli, ma non una penna o una matita, e non possiamo purtroppo lasciare un segno del nostro passaggio. Riponiamo la bottiglia al suo posto.
Ci attende la discesa; occorre evitare di perdere la concentrazione, poiché le insidie non sono ancora finite e potremo dirci tranquilli solo quando avremo appoggiato i piedi sui prati alla base della parete. Scegliamo la discesa per la via Normale, sperando di trovare i punti di calata senza troppa difficoltà. Abbiamo cura di rinforzare con cordino nuovo i punti di calata. Mettiamo delle maglie rapide per non bruciare il cordino, e permettere alla corda di scorrere meglio durante il recupero. A parte un incastro di corda sulla prima calata, tutto fila liscio.
Quando mette i piedi a terra dopo l'ultima calata, Alberto grida "Terraaa!". Infine, dopo gli ultimi 30 metri di calata nel vuoto, anch'io poso i piedi sul prato e provo un immenso senso di sollievo. Guardo la corda che penzola sopra di noi, discostandosi parecchio dalla parete. Tirarla giù non è facile, ci appendiamo in due come campanari che cercano di suonare una campana troppo grande. Solo dopo qualche tentativo, tirando un po' l'altra corda e spostandoci di lato, riusciamo nell'intento, e lo schiocco liberatorio della corda sul terreno segna in modo emblematico la felice conclusione dell'impresa.
Recuperiamo tutto, carichiamo i pesanti zaini sulle spalle, e scendiamo con prudenza i prati scoscesi fino alla Forcella d'Oltro, dove prendiamo il più comodo sentiero dell'Alta Via. Scendendo, volgiamo più volte lo sguardo alla Punta del Caldrolon, che infine si vela di nebbie:
Mi accorgo che non sono l'unico a essere stanco; anche Alberto, dopo un'intensa giornata di sforzo, concentrazione e impegno mentale, appare provato. E ne ha ben motivo, dopo quello che ha fatto. Solo la salita ci ha impegnati, soprattutto lui, per circa 5 ore, a inventare una via che nessuno prima aveva mai individuato e percorso.
Insisto con lui che la via dovrebbe portare il suo nome, come si faceva una volta. Ma lui dice che non gli suona bene, e preferisce darle un nome di fantasia, come è d'uso ai giorni nostri. Non posso certo interferire nella sua decisione, ma nella mia testa questa rimane la "Via Da Ronch alla Punta del Caldrolon".
Gli sono veramente grato per avermi scelto come compagno di cordata in questa fantastica avventura. Se qualcuno, prima delle ferie in questi splendidi posti, mi avesse detto che avrei fatto questa cosa, sicuramente non gli avrei creduto.
Vedi: Relazione della via
La prima ripetizione è stata compiuta da Angelo Spadaro, Mila Costi e Massimiliano Emer, l'8 luglio 2012, a quasi due anni di distanza dall'apertura.
Ecco la loro foto di vetta:
Complimenti!
Il resoconto scritto da Angelo si trova qui.
La prima salita invernale è opera di Luigi Dal Re e Gabriele Sintoni, il 31 gennaio 2016.
Ecco la loro foto di vetta:
Complimenti anche a loro!
E qui il racconto di Gigi.
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